Annalisa Pellegrino
“Ogni essere umano sulla terra ha uguali diritti di soddisfare
il suo proprio potenziale” (Denis Waitley)
Con questa frase voglio iniziare questo racconto sulla mia vita.
Mi chiamo Annalisa Pellegrino, ho 25 anni e ho sempre vissuto a Poggio Berni, pur avendo cambiato casa 3 volte.
Ho frequentato l’asilo Peter Pan a Poggio Berni, poi le elementari le ho fatte alla scuola Marino Moretti. Proprio negli anni delle elementari, all’età di sei anni, ho vissuto uno dei cambiamenti più importanti della mia vita, la morte di mio padre, che ha lasciato nel cuore di tutti un gran vuoto, ma, come ogni fine, ha portato anche una trasformazione. Sono stati anni che non ricordo bene, ma ricordo l’affetto di chi avevo vicino: mia madre, mio fratello e mia sorella, famigliari, tutti i miei compagni di classe, le mie maestre, gli amici di famiglia, ecc. Erano tutti presenti per aiutarci ad andare avanti, a superare questa difficoltà. Ho vissuto gli anni successivi con questa “diversità” rispetto agli altri bambini, una diversità che mi ha portato sempre a fare dei sacrifici: quando desideravo una bambola o un giocattolo, ci pensavo due volte prima di chiederla a mia madre, perché sapevo che quei soldi forse potevano servire per prendere il latte e il pane da mangiare il giorno dopo. Una diversità tra tante altre però: infatti, durante il periodo delle medie, ho scoperto che non ero l’unica ad avere una caratteristica particolare. Nella mia classe eravamo tutti diversi: c’ero io, un ragazzo peruviano, una ragazza con origini moldave, un altro di origini marocchine, alcuni ragazzi albanesi, qualche ragazzo italiano, un ragazzo con la passione per l’arte, un’altra che amava giocare a pallavolo, un altro che suonava la chitarra benissimo, un ragazzo con disabilità, una ragazza che proveniva dal sud, uno che andava benissimo in matematica, ecc. Tutti diversi per svariate ragioni (religione, nazionalità, capacità, passioni) ma tutti uguali in classe, tutti con lo stesso obiettivo: studiare e imparare a crescere.
Dopo i 3 anni delle medie era arrivato di nuovo il momento di cambiare. Ho scelto di andare al Liceo scientifico Einstein, a Rimini, perché dopo un colloquio con il preside Prosperi, ho capito che era la scuola fatta per una persona che come me ama le regole. Ho fatto 5 anni in cui molte cose sono cambiate e in primis sono cambiata io. Sono stati anni difficili quelli del liceo, in cui i risultati scolastici non erano sempre bellissimi pur dando il massimo del mio impegno nello studio. Ho finito il liceo con un 60/100 sofferto: mi ricordo ancora i pianti durante l’esame di Stato. Un 60 che per molti potrebbe essere un risultato bruttissimo, ma che per me è stato un passo importante, una porta che mi ha aperto al mondo, mi ha fatto capire che potevo ancora crescere e maturare ancora.
Da questi anni di studio difficili però avevo capito una cosa: la diversità, qualunque essa sia, è un dono. Infatti è grazie a un ragazzo disabile che avevo in classe alle superiori, che ho capito che la mia strada sarebbe stata quella di aiutare gli altri a far fiorire le loro diversità. Per questo, dopo aver tentato invano l’ingresso a Psicologia, nel 2013 ho scelto di fare la laurea triennale in Educatore sociale e culturale e poi dal 2016 al 2019 ho intrapreso la laurea Magistrale in Pedagogia.
Quelli dell’università sono stati gli anni di studio più affascinanti e arricchenti, in cui ho capito davvero l’utilità di imparare qualcosa, studiare non perché ti è imposto (come succede dal primo anno di elementare all’ultimo di superiore), ma perché si ha una passione. Durante gli anni di università ho incontrato tanti maestri di vita: professori come Andrea Canevaro, Elena Malaguti, Manuela Fabbri, Emma Beseghi e tanti altri, che mi hanno indirizzato verso l’aspetto della pedagogia speciale e della disabilità. Durante i primi anni di università ho iniziato ad approcciarmi al mondo del lavoro, cominciando a lavorare alla palestra Ag23, in diverse attività come giocosport e giocomotricità coi bambini dai 3 ai 10 anni e movimentazione coi ragazzi dei centri diurni Arcobaleno e Germoglio. In contemporanea ho poi iniziato a lavorare per la Cooperativa la Fraternità, (consorzio della Comunità Papa Giovanni XXIII), prima per il progetto R.E.T.I. (Realizzare educazione attraverso tecnologie informatiche), poi con un ragazzo disabile all’Istituto Superiore Molari di Santarcangelo e infine nell’asilo “La Resurrezione” a Rimini.
Gli anni di lavoro alla Fraternità sono stati importanti e per ora quelli che ho più impressi nel cuore. In questi anni sono stata affianco alla disabilità: l’ho toccata per mano, l’ho odiata ma anche amata; ho lottato contro la disabilità ma poi l’ho sempre accarezzata; l’ho accettata, l’ho accolta, pur nell’impossibilità di comprenderla a fondo.
Il lavoro dentro alla Fraternità mi ha dato le basi per lavorare in altri contesti. Infatti due anni fa ho cambiato cooperativa e sono passata per un anno alla Millepiedi, dove ho lavorato in due asili come educatrice e da Settembre 2019 invece lavoro per altre due cooperative: Ancora come educatrice di
istituto presso il Liceo Artistico “Serpieri”; CEIS (Centro educativo italo svizzero) come educatrice pomeridiana nell’asilo comunale “La Lucciola” di Rimini.
Riscrivendo un po’ la mia vita in queste poche parole, ho notato che sono già 6 anni che lavoro in questi contesti e, con soddisfazione, posso dire che amo quello che faccio. Amo il fatto di stare in contatto con persone diverse da me, di poter dar loro un aiuto nel vivere al meglio la loro vita. La cosa più bella del mio lavoro è vedere che quei bambini o ragazzi che sono considerati dalla società solo per la loro disabilità, invece possono essere ammirati per le loro qualità, le loro capacità. Infatti sta proprio nella pratica della buona educazione: “trarre fuori” dalla persona quell’autenticità e unicità che si nasconde dietro all’apparenza della diversità. Lavorare con la “diversabilità”, così potremmo chiamarla, mi ha aiutato a capire anche che nella società c’è molta difficoltà nell’accettazione del diverso da noi e per paura di sembrare diversi si cerca di “fare come gli altri” e di assomigliarsi, eliminando così le singolarità e la straordinarietà di ognuno.
La diversità, specialmente in questa società omologata, è un dono da indossare con grande eleganza, da far emergere nella sua immensa bellezza e da ammirare con sguardo inattuale. Se sono arrivata a quella che sono oggi è sicuramente grazie alla mia famiglia, alla scuola, ma anche al percorso scout, in cui ho imparato a fare una scelta: quella di essere una cittadina cristiana attiva e, come dice anche la nostra Promessa, a “fare del mio meglio per aiutare gli altri in ogni
circostanza…”.
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